3 Settembre 2019
Prima era l’informazione unidirezionale: tu dicevi, io assorbivo (carta, radio, tv). Poi siamo passati alla comunicazione – io dico, tu rispondi – e ora condividiamo (possedere insieme, partecipare insieme, offrire del proprio ad altri), diffondiamo opinioni, giudichiamo e c’è chi pretende di conversare – quasi fosse un diritto o un’urgenza irrefrenabile – anche di ciò che non si conosce affatto, sul medesimo ring, che è la rete.
Offrire del proprio ad altri è un mare infinito e complesso. E se non ne potessimo più di ricevere? Se il vaso fosse talmente pieno, e l’acqua talmente sudicia, che il liquido fosse divenuto imbevibile? Non lo so. Ma la domanda me la pongo ogni giorno. E mi si ripresenta, forte e chiara, ogni volta che osservo la rete e molto pare davvero all’estremo di non si sa più quale confine. Le tinte rosa, il verde acqua, lillà, l’arancione sono sempre meno i colori della comunicazione condivisa. C’è rosso passione malata, rosso sangue che trasuda d’insulti, ostilità e nero pece. Oppure è tutto bellissimo e ovviamente finto. Tanto verosimile, quando poco reale.
Nel fine settimana del 17/18 febbraio scorso, a Trieste, si è tenuta la prima edizione di “Parole Ostili”, evento che ho condiviso sui miei profili social e guardato in streaming (il bello della tecnologia) desiderosa di ascoltare e capire, ed anche trovare conforto.
LA FOLLE AMBIZIONE DI DIRE “ADESSO BASTA”, TORNIAMO A PARLARE UN LINGUAGGIO CHE CI RISPETTI E CHE SIA LONTANO DA VIOLENZA, DISCRIMINAZIONE E ODIO (#PAROLEOSTILI).
Perché ci si sentiva soli e diversi nei bar – mentre il gruppo parlava – e ci si sente allo stesso modo in rete. Come diceva Sherry Turkle nel suo memorabile saggio sul complesso rapporto tra l’uomo e tecnologia “Insieme ma soli”. Ti guardi in giro, scorrendo timeline, per capire se c’è qualcuno, se non di uguale a te, almeno di simile con il quale discutere, confrontarti, contrapporti con intento qualitativo ed evolutivo. E lo vai cercando attraverso quella parola, come fosse una bandiera di riconoscimento – la sola rimasta che unisce ancora il mondo analogico a quello digitale, il passato con il presente – ed il suo uso corretto, gentile ed educato e magari con guizzi di humor.
IL POTERE DELLE PAROLE: COMMUOVONO, SCALDANO IL CUORE, VALORIZZANO, DANNO FIDUCIA, SEMPLICEMENTE UNISCONO… E POI CI SONO TWEET, POST E STATUS: FERISCONO, FANNO ARRABBIARE, OFFENDONO, DENIGRANO, INESORABILMENTE ALLONTANANO. PERCHÉ SE È FOTTUTAMENTE VERO CHE I SOCIAL NETWORK SONO LUOGHI VIRTUALI DOVE SI INCONTRANO PERSONE REALI, ALLORA VIENE DA DOMANDARSI CHI SIAMO E CON CHI VOGLIAMO CONDIVIDERE QUESTO LUOGO. PAROLE O_STILI HA L’AMBIZIONE DI ESSERE QUESTO: L’OCCASIONE PER CONFRONTARSI SULLO STILE CON CUI STARE IN RETE, E MAGARI DIFFONDERE IL VIRUS POSITIVO DELLO “SCELGO LE PAROLE CON CURA” PERCHÉ “LE PAROLE SONO IMPORTANTI” (#PAROLEOSTILI WWW.PAROLEOSTILI.COM)
C’erano i bulletti al bar e a scuola, ai miei tempi, come ora. Li ritrovo in rete ancora più urlanti, ancora più inferociti nel cliccare i tasti di una tastiera, nascosti ma presenti, usando punteggiature inverosimili, emoticon rappresentative di loro stessi, allergici al prendersi responsabilità delle proprie affermazioni.
CHE LE PAROLE SIANO IMPORTANTI IN MOLTI LO CAPISCONO SOLTANTO QUANDO CIÒ CHE HANNO SCRITTO, MAGARI D’ISTINTO, SUI SOCIAL INNESCA UNA QUERELA E POI UN PROCESSO ED INFINE UNA CONDANNA (#PAROLEOSTILI HTTP://WWW.PAROLEOSTILI.COM/DIFFAMAZIONE-SOCIAL/)
Una occhiata ai profili dei politici del nostro paese (Renzi, Salvini, Raggi per dirne tre, a caso) per vedere lo spaccato della nostra società: “fosse comuni” di commenti, opinioni buttate lì a caso, soggettività incanalate sul web per lo più frutto di irrisolti psicologici che di reali fatti oggettivi supportati dalle ancora valide cinque W – perché, chi, cosa, come, quando. A volte li immagino con la bava e la lingua fuori, un po’ come da ragazzina osservavo da lontano gruppetti che si coalizzavano per la supremazia (inutile) di qualcosa e la claque intorno. In fondo non è cambiato molto: prima le parole le sentivamo uscire dalla bocca, ora le leggiamo sui nostri dispositivi che teniamo in tasca ed hanno una potenza, una energia ed una ostilità, pari ad un pugno nello stomaco o peggio, nella testa.
E allora cosa possiamo fare tutti noi che per mestiere, o per passione, stiamo a braccetto con la rete? Quello che si è sempre fatto quando desideri “disinnescare”: non mettere benzina sul fuoco. Alle parole ostili si risponde con gentilezza, educazione, con la verità dei fatti e naturalmente qualche emoticon sorridente. Spegni il fuoco o almeno ci provi. Oggi, domani, e il giorno dopo ancora. Con metodo, senza rassegnazione, ne aspettativa.
Cercando di recuperare fiducia attraverso i contenuti, per noi stessi ed anche per la società di cui facciamo parte: perché la “fiducia è una esigenza evolutiva; è linfa vitale per la personalità e la società” come scrive Claudio Widmann psicologo-psicoterapeuta e analista junghiano nel suo testo “F come Fiducia”.
La parola è un transitare. E mai come ora, farlo con cura, sbarazzandoci dell’odio, della ostilità, della violenza è importante. Anzi, vitale. È un seme che abbiamo il dovere di piantare ancora.
Siamo in un frullatore di notizie, un flusso enorme che non si arresta e non si arresterà, se non lo fermiamo noi, di tanto in tanto, per fare il punto.
Qualcuno prende un’aspirina e gli passa, altri scendono in giardino a piedi nudi e aprono le finestre. Personalmente mi rifugio nel silenzio, nella poesia, nella musica, nell’arte e nella contemplazione del cielo o in qualche sala cinematografica vuota di pomeriggio. Una sorta di antidoto che prendo dalla cultura e dalla bellezza del mondo.
Troppi però, non cambiano neppure l’aria. Ed è tossica.
Articolo per HIC RHODUS, Rivista di argomenti e logica civile https://ilsaltodirodi.com/2017/03/08/rete-frullatore-di-parole-odio-hater-paroleostili/